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Education Quality
Diploma in Web Development
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Era Settembre del 2008 quando su Marketing SEO Agency parlavo di Direct Response Marketing articolo che continua a primeggiare su Google per la keywords secca. Oggi in Italia hanno tradotto il termine in marketing a risposta diretta e dunque eccomi qui a scrivere il mio primo articolo proprio su tale argomentazione. Vediamo quindi nel dettaglio di cosa si tratta e tutto quello che c’è da sapere riguardo questo strumento di marketing, ormai sulla bocca di tutti i newbie che si avvicinano a questo mondo.
Che cos’è il marketing a risposta diretta?
Quando parliamo di marketing stiamo parlando di tutta una serie di azioni in grado di portare clienti verso i nostri servizi o prodotti. Molto spesso però queste campagne di marketing hanno due grosse lacune:
Ci danno un ROI su un periodo troppo lungo. In questo caso parliamo ad esempio di campagne di tipo SEO (vi ricordo che la SEO è una costola della dorsale marketing) dove affrontiamo un investimento che molto spesso è lungimirante nel tempo, ci possono volere anche un paio d’anni per affermasi nei primi posti per determinate parole chiave. In tal senso non abbiamo un riscontro diretto, seppur il ROI sia misurabile in funzione degli strumenti che Google analytics ci fornisce per il monitoraggio delle conversioni.
Peggio ancora non hanno un ROI misurabile in maniera accurata. In quest’altra ipotesi invece parliamo di ROI non misurabile ovvero non si ha la possibilità di calcolare il costo della conversione rispetto a quanto abbiamo investito. Penso al caso di campagne pubblicitarie su giornali e radio che non abbiano elementi in grado di definire la provenienza del potenziale cliente.
Fatte queste dovute premesse, ci troviamo davanti a una campagna di marketing a risposta diretta quando le due condizioni precedenti sono false, ovvero il ROI è misurabile in maniera immediata.
Se ti stai chiedendo come fare marketing a risposta diretta, ti rispondo subito.
Come fare marketing a risposta diretta?
Fare marketing a risposta diretta è basato su campagne a pagamento come può essere una campagna adwords, una campagna facebook, o altri tipi di forme pubblicitarie online in grado di darci subito un riscontro. Fare marketing a risposta diretta significa:
Definire un obiettivo sul tuo sito, sia esso una richiesta di contatto tramite form oppure la vendita di un prodotto o servizio su un ecommerce. Nel caso in cui si tratti di un form, ti ricordo che in Italia ed in quasi tutto il mondo è obbligatorio il verified opt-in, quindi dopo che l’utente avrà confermato il suo indirizzo email questo dovrà essere redirezionato su una “success page” ovvero la nostra pagina obiettivo, che sarà raggiungibile solo ed eslusivamente in questo modo. Nel caso invece di un ecommerce, la pagina obiettivo è quella che mostriamo al cliente dopo aver concluso l’ordine, solitamente questa viene definita “thank you page” in quanto potrebbe darsi che il pagamento verrà incassato tramite bonifico o contrassegno e quindi la transazione ancora non è stata conclusa al 100%.
Creare una campagna a pagamento (per click, impression o altro). Come ho già detto ci si può affidare a Google Adwords o ai Facebook Ads, in tal senso andremo a seconda dello strumento che scegliamo le campagne hanno impostazioni e parametri diversi.
Monitorare il traffico e le conversioni verso l’obiettivo, il tutto in tempo reale. Se utilizzi Google Analytics per le statistiche del tuo sito al suo interno trovi una sezione appunto chiamata “Conversioni” dove potrai monitorare il funnel preciso che porta ad una conversione, analizzando i tassi di abbandono, i percorsi e quant’altro.
Compiere azioni di per ottimizzare al meglio la campagna in funzione del costo e delle conversioni. Avendo una risposta diretta avrai la possibilità di ottimizzare le campagne, migliorando i tuoi annunci, facendo split test (A/B test), puntando sulle parole chiave che rendono di più in funzione appunto solo di un fattore il costo della corversione.
Misurare il ROI. Fino ad ora abbiamo parlato del costo di conversione il ROI non è altro che la differenza tra il costo del servizio o prodotto venduto meno il costo della conversione. Esempio, se vendi loghi a 99€, ed un contatto tramite queste campagne ti costa 20€, hai un utile di 79€. In realtà questa è una versione molto semplificata di come andrebbe calcolato il ROI, in quanto, rimanendo sempre nel precedente esempio, c’è da considerare fattori come IVA, costi accessori se non siamo noi i grafici, eventuali altre spese accessorie.
Una cosa fondamentale in tutto questo approccio sono le pagine di destinazione su cui vogliamo far atterrare i nostri utenti, conosciute appunto come “landing page”. Queste pagine devono comunicare al meglio tutta la tua offerta, devono essere persuasive, devono essere scritte usando lo slang del mercato a cui ti proponi e devono avere la call to action sempre ben visibile e volendo anche ripetuta più di una volta. Ma questo argomento merita sicuramente più di un articolo specifico.
Quali sono i vantaggi del marketing a risposta diretta?
Fare marketing a risposta diretta ha come grosso vantaggio quello di attrarre solo persone realmente interessate a quello che stiamo offrendo, dunque un target molto ben definito. Ci permette inoltre di conoscere subito la direzione che stiamo prendendo e di correggere il tiro o migiorarlo ulteriormente. In questo modo il paradigma del trovare clienti viene completamente ribaltato, non sarai tu a dover cercare ogni singolo cliente, uno ad uno, senza inviare fastidiose email SPAM o facendo quello che vengono definite telefonate a freddo (ovvero senza che il potenziale cliente sappia chi sei, cosa fai, cosa vuoi, cosa vendi, ecc), ma saranno i clienti a contattare te in quanto già informati su quello che hai da proporgli, nel caso di richieste tramite form, o meglio ancora compreranno direttamente i tuoi prodotti o servizi, nel caso di ecommerce.
Per qualcuno il marketing a risposta diretta è il futuro, in realtà in Italia è il presente già da circa 10 anni, per chi come me ha avuto modo di partecipare a cerchia ristretta che è stato il vero PRIMO percoso che ha introdotto questi concetti nel nostro bel paese. Gente che come me leggeva VeniceMarketingReport.com di Nicola Fiabane conosce bene questi meccanismi e li mette impratica da un decennio.
Ho deciso di lanciare il mio nuovo e personale progetto proprio con un argomento che mi sta molto a cuore e su cui sicuramente avrò modo di fare altri articoli. Intanto per adesso la termino qui e se qualcosa non ti è chiaro lascia pure un commento qui sotto e riceverai presto una mia risposta.
Quale autoresponder scegliere per fare email marketing?
Una delle prime scelte da fare quando si vuole iniziare a fare email marketing è quella dell’autoresponder. L’autoresponder è lo strumento attraverso il quale puoi comunicare con i contatti delle tue mailing list in maniera automatica. In questo articolo vedremo le caratteristiche che deve avere un buon autoresponder e quali sono quelli più famosi.
Verified opt-in o no?
Un buon autoresponder deve permetterti di avere la funzione verified opt-in, oggi quasi tutti hanno questa funzione disponibile. Il verified opt-in ti permette di confermare l’iscrizione alla tua mailing list. Un esempio pratico lo hai proprio sul mio sito, infatti una volta che inserisci nome ed email, non vieni automaticamente inserito nella mailing list ma prima ricevi una mail di conferma, una volta confermata l’iscrizione allora i tuoi dati verranno messi nella lista. Praticamente il percorso si svolge come segue:
Inserisci nome ed email (e/o altri dati)
Appena clicchi sul pulsante per iscriverti vieni redirezionato su una pagina di ringraziamento, nota come “thank you page”, in cui ti dico di confermare il tuo indirizzo.
Quando apri la tua mail e clicchi sul link di conferma, vieni redirezionato su una “success page”, dove ti confermo l’avvenuta iscrizione. Questa pagina è quella dove puoi rendere scaricabili ebook, video o altri materiali gratuiti che offri per l’iscrizione alla tua mailing list.
L’uso del verified opt-in oltre ad essere obbligatorio per la legislazione italiana, ti è utile perchè così avrai solo indirizzi mail reali e consensienti a ricevere tue comunicazioni.
L’importanza delle automazioni nell’autoresponder
La possibilità di avere le automazioni in un autoresponder è una delle caratteristiche più utili, vediamo meglio cosa sono queste automazioni.
Supponiamo di voler vendere un videocorso.
Dopo aver creato il nostro sito, con blog e squeeze page, iniziamo a prendere indirizzi email e a costruire la mailing list di potenziali clienti.
Attraverso accurati follow-up, ben studiati, proporremo l’acquisto del nostro videocorso.
Se siamo stati bravi una percentuale dei nostri potenziali clienti diventeranno clienti veri e propri
A quel punto non ha più senso avere dei clienti reali in una lista di potenziali clienti, in quanto continuerebbero a ricevere comunicazioni legate alla vendita del videocorso che hanno già acquistato, mentre sarebbe opportuno inviargli comunicazioni legate al post-vendita
E’ in questo step che ci vengono in aiuto le automazioni. Quando il cliente acquisterà il nostro videocorso gli faremo compilare un secondo form, legato alla mailing list “clienti” ed attraverso le automazioni creeremo una regola che farà in modo che chi è iscritto alla lista “clienti” deve essere cancellato da quella dei “potenziali clienti”.
In tutto ciò è bene avere sempre un listone centrale dove abbiamo sia i potenziali clienti (lead) che i clienti veri e propri, in questo modo se dobbiamo fare una comunicazione massiva possiamo scrivere al nostro listone centrale che li racchiude tutti.
Follow-up e broadcast: le differenze!
Un buon servizio di autoresponder permette di inviare sia dei follow-up che dei broadcast, vediamo quali sono le differenze. I follow-up sono delle email programmate nel tempo che vengono inviate in maniera automatica, mi spiego meglio, tizio si iscrive oggi alla nostra newsletter in maniera del tutto automatica riceverà una serie di email che abbiamo già scritto, salvato e programmato per essere inviate ad intervalli di tempo che siamo sempre noi a definire, ad esempio una mai subito dopo l’iscrizione, una a distanza di due giorni, e così via.
Solitamente si consiglia di non inviare troppe email puramente promozionali, ma lo scopo deve essere quello di dare informazioni, insomma di portare valore aggiunto a chi si è iscritto facendogli capire che in questo modo riceve del materiale esclusivo per gli iscritti e di tanto in tanto qualcosa di promozionale, magari con offerte esclusive dedicate proprio agli iscritti.
Il broadcast invece è l’invio di una mail non programmata a tutta l’attuale lista, ovvero se io invio ora un broadcast lo riceveranno solo gli attuali iscritti, utile per comunicare news immediate senza doverle mettere nella sequenza di follow-up.
Quali sono i più noti autoresponder sul mercato?
Premesso che non è obbligatorio avere un servizio esterno come quelli che andrò ad elencare, ma che è possibile gestire newsletter anche attraverso moduli e o plugin per il tuo CMS, i più noti servizi di autoresponder sono:
In realtà ci sarebbero anche altri brand ma questi tre li ho tutti testati personalmente e mi sono trovato sempre molto bene, a mio avviso il migliore è Aweber, ma vabbè io sono un nostalgico.
Direi che come prima panoramica sugli autoresponder possiamo chiudere qui, e ci sarà sicuramente modo in seguito di continuare a trattare questi argomenti, degli autoresponder nello specifico e dell’email marketing in generale. Per qualsiasi domanda resto sempre a completa disposizione.
Come e quando scrivere un articolo per vendere online?
Oggi voglio parlare di un’argomentazione molto importante per chiunque ha intentezione di vendere online, si tratta della realizzazione di articoli, che in gergo tecnico viene definito “content marketing”, ovvero il marketing basato sui contenuti.
Ogni quanto scrivere articoli per vendere online?
Una delle domande che sento più spesso è legata appunto alla frequenza di pubblicazione. Per quanto mi riguarda la risposta è molto semplice: “Scrivi quando hai qualcosa da dire”. Infatti c’è chi pubblica in maniera quasi obbligatoria articoli che però molte volte non dicono quasi nulla, anzi sono scritti solamente perchè si deve pubblicare qualcosa sul blog. A mio avviso scrivere di meno ma quando serve è la strategia è più produttiva per due motivi:
Quando scrivi perchè hai qualcosa da dire, avrai molte cose su cui spaziare e argomenterai nel miglior modo possibile i tuoi contenuti.
Quando scrivi solo quando serve, ti fa svolgere questa attività in maniera più fluida e senza alcuna forzatura, in questo modo ottimizzi i tempi e le risorse, io personalmente per scrivere un articolo tipo questo non impiego più di 15 minuti, ma perchè già so quello che voglio dire ed ho una mia metodologia di scrittura che ti esporrò nel prossimo paragrafo.
Come scrivere articoli per vendere online?
Scrivere articoli per vendere online deve tenere a monito tre cose per quest’ultimi:
Devono essere reperibili sui motori di ricerca
Devono dare valore all’utente che li legge
Devono in qualche modo spingere l’utente verso una call to action ben chiara
Riguardo il primo punto la domanda che mi hanno fatto decine di volte è: “Quindi dove metto le parole chiave?” e la mia risposta a riguardo è sempre la stessa, ovvero: “Fregatene della parole chiave e scrivi per l’utente, le parole chiave le inserirai in maniera naturale, dove servono, senza nessuna forzatura, se invece ti focalizzi su densità e cose simili finirai per perdere di vista la comunicazione chiara verso il lettore, che è quello che veramente conta!”
Ovviamente trattandosi di articoli scritti sul web e non su un giornale cartaceo, ci sono alcuni metadati che bisogna compilare seguendo alcune accortezze, che possono in qualche modo favorire il posizionamento di un articolo per una determinata parola chiave. Anche un giusto uso della formattazione dell’ipertesto ha un suo valore all’interno della pagina, infatti abusare o non usare tag come ad esempio “strong” per il grassetto hanno un valore visivo sia per il lettore che per i motori di ricerca che gli daranno maggiore perso, non a caso il nome del tag usato per il grassetto in italiano significa proprio “forte”.
Io personalmente quando scrivo un articolo prima definisco il titolo, poi dopo aver scritto un primo paragrafo introduttivo scrivo i titoli dei sotto paragrafi che titolerò con H2, H3, H4, ecc (proprio come puoi vedere in questo articolo). Questo è utile sia per me che scrivo scrivo, infatti mi aiuta ad avere subito delle guide, sia per gli utenti che potranno avere subito un idea di cosa tratta il paragrafo e anche che per i motori di ricerca che danno un buon peso a queste testate.
Ovviamente un buon articolo deve portare del valore aggiunto, deve informare l’utente verso una determinata tematica, deve essere esaustivo e sviscerare ogni elemento di quest’ultima, in tal senso il miglior tipo di articoli che si possono sviluppare, sono quelli basati sul “How to …”, e solitamente si tratta di veri e propri evergreen al contrario di news momentanee su argomenti che possono trovare un grande interesse ma per un breve periodo di tempo.
Ma non basta essere reperibili e dare informazioni di valore, un buon articolo deve indurre l’utente all’azione, ad una sola azione, sia essa l’iscrizione ad una newsletter, l’acquisto di un prodotto, lasciare un commento o altro. La CTA potrà essere richiamata più di una volta all’interno di un articolo attraverso dei banner dedicati che in qualche modo interrompono la lettura che però può proseguire agevolmente scrollando la pagina, oppure se la call to action è sempre la stessa si può sfruttare la sidebar laterale lasciando fisso l’elemento allo scroll della pagina.
Come e dove distribuire gli articoli che abbiamo scritto?
Una volta realizzato l’articolo questo può essere distribuito su diversi canali, vediamo quali sono quelli principali e come si possono sfruttare al meglio:
Newsletter, un classico, molti autoresponder permetto la creazione di blog broadcast, ovvero agganciando l’autoresponder al feed RSS del blog questo invierà automaticamente una mail agli iscritti ogni volta che verrà pubblicato un nuovo articolo. Personalmente non amo molto questo tipo di metodologia, preferisco prendere un abstrac o comunque una porzione dell’articolo e poi mettere il link per la lettura completa all’interno di una mail che scriverò io.
Gruppi e pagine Facebook, Google+, Linkedin o un tweet su Twitter. Tutti quelli che per qualsiasi motivo non raggiungiamo tramite la newsletter ma che ci seguono sui social possono essere dirottati verso l’articolo semplicemente condividendo quest’ultimo su di essi.
Social bookmarking, sono dei siti (ad esempio OkNotizie) in cui è possibile segnalare i propri post e quest’ultimi verranno pubblicati e potranno poi anche essere votati dagli utenti che prendo parte al sito.
Nelle descrizioni dei video Youtube, Vimeo o simili. In questo campo infatti è possibile aggiungere dei link, quindi se nell’articolo abbiamo associato anche un video, ricordiamoci di inserire il link all’articolo nella descrizione del video.
All’interno di ebook. Se abbiamo un ebook in vendita o scaricabile gratuitamente e vogliamo far approfondire determinate tematiche che abbiamo trattato in uno o più articoli si possono linkare come approfondimenti.
Concludo questo articolo dicendo che scrivere un articolo per vendere online non è facile, i fattori che influenzano una vendita sono numerosi e difficilmente un utente acquista subito, leggendo un solo articolo, ma se il sito è ricco di contenuti allora le probabilità aumentano, perchè se avete scritto molto materiale utile che vi afferma come opinion leader di quella nicchia l’incentivo all’acquisto è sicuramente maggiore, inoltre se avete modo di aggiungere testimonianze dirette e reali di vostri clienti e case history pratici questo darà sicuramente man forte alla persuasione per la vendita, ma di queste due argomentazioni parleremo in un altro articolo.
Oggi su Facebook mi è capitato sotto gli occhi un articolo dove si parlava di SEO affermando dei casi, a mio avviso spinti all’estremo, in cui non serviva. La mia opinione è stata comune a quella di molti altri consulenti SEO, ma la discussione anzichè essere un utile confronto tra punti di vista diversi si è rivelata quasi una scintilla di flame, e a mio modesto parere più che il confronto si cercavano solo conferme ed è per questo motivo che ho scritto questo articolo, per intavolarare la discussione su questo sito, seppure in stato embrionale, e sono sempre pronto ad aggiungere altri casi in cui non serve se mi fate cambiare idea.
Dunque ispirato dalla lettura del post mi sono chiesto: “Esistono dei casi in cui un azienda che si rivolge ad un pubblico online non ha bisogno di SEO?”
E devo dire che un caso l’ho trovato, per fortuna non si tratta di un mio case history personale (anche perchè chi mi conosce sa bene quanto sono geloso dei risultati che ottengo per me e per i miei clienti) e che non ho bisogno di andarli a sbandierare ai quattro venti per ottenere consensi, parlano le SERP di Google e se quelle non vi bastano, allora comprate pure i pacchetti SEO garantiti a 99€/anno (iva inc).
Prima di vedere l’unico caso in cui fare SEO non serve, bisogna fare una breve premessa.
La definizione essenziale di SEO
Ognuno di noi ha una propria definizione di cosa sia la SEO, ed aldilà del significato dell’acronimo, devo dire che tutte le definizioni che ho avuto modo di leggere da circa 10 anni a questa parte sono corrette, ma nessuna giunge alla vera essenza di questa materia tanto complessa e raffinata, un misto tra arte e scienza, che ormai è sulla bocca di chiunque, grazie ai mille mila corsi/libri/gruppi/e semafori verdi di yoast.
Per quante cose si vogliono dire a riguardo, la definizione essenziale di SEO è una sola ed è la seguente:
La SEO è una costola sulla dorsale marketing
Stop. Punto. Ok?!!!?
Infatti fine a se stessa la SEO non avrebbe senso di esistere, ma se integrata in una più ampia strategia di marketing allora diventa un tassello che può fare la differenza e che prende un grosso peso, un peso fondamentale per chiunque gestisca un attività imprenditoriale con dei canali online.
Fatta chiarezza su queste tematiche bisogna dire che la SEO andrebbe sempre fatta sulla base di input che arrivano dal reparto marketing, ed è qui che molto spesso casca l’asino. Infatti le nuove agenzie di web marketing si riempono la bocca di paroloni come visual hammer, branding positioning, copywriting, lead generation, alle volte complicandosi da soli la vita e perdendo di vista quello che è la vera essenza di tutto, il marketing, ovvero creare un mercato.
I più scaltri dopo questa premessa avranno già capito dove voglio andare a parare con la mia tesi, per i meno scaltri ora ve lo spiego 🙂
Non fare SEO se…
Per quanto esposto fino ad ora, il mio consiglio è di non fare SEO se non hai pianificato una strategia di marketing online.
Struttura del sito, scelta dell’hosting, definizione delle keywords, strumenti di monitoraggio del traffico e delle conversioni, redazione e pubblicazione dei contenuti sono tutta una serie di tasselli che non possono essere lasciati al caso ma che vanno pianificati prima. Ora salvo le cose prettamente tecniche con codici e diavolerie varie, tutto quello che è il “lato umano” della SEO è un qualcosa che dovrebbe arrivare dal reparto marketing non dal SEO di turno.
Che cosa intendo quando dico il “lato umano della SEO”?
Semplicemente cosa cerca un tuo potenziale cliente e cosa si aspetta di trovare sul tuo sito in funzione di quella determinata ricerca.
La più grande lacuna è proprio nel reparto marketing delle aziende, sta tutta li, loro per primi non sanno mettersi nei panni di un potenziale cliente eppure vogliono vendergli qualcosa.
Conclusione
Non avete idea delle volte in cui è arrivato un cliente a cui ho chiesto se sapeva, anche solo indicativamente, le parole chiave d’interesse del suo mercato per cui intendeva svolgere un lavoro SEO e mi ha risposto: “Fai tu!”, alle volte la risposta è quasi come a dire “Cavolo sei tu quello che lavora su Google mica io. DEVI dirmele tu, non io”.
Purtroppo queste persone ignorano che la keywords research è un attività di tipo SEM e non SEO, semplicemente perchè il vero lavoro della figura SEO è ottimizzare il posizionamento di un sito per delle parole chiave. Stop. Punto.
Le vendite o altre conversioni di vario tipo spettano al reparto marketing, ed è quel reparto che deve dirci quali sono le keywords su cui puntare e su quali no.
Di pari passo è anche vero che un buon consulente SEM, che racchiude in sé la SEO, è in grado di poter individuare ed ampliare il listato di partenza identificando in base agli strumenti in suo possesso keywords secondarie che possono portare traffico in target, ma se nell’azienda che commissiona il lavoro non c’è un minimo di input a riguardo, sarebbe bene fargli notare che c’è una grossa falla nel sistema.
Ed è proprio per questo motivo, che molto spesso, un consulente SEM si ritrova a dover diventare esperto tanto quanto i suoi clienti per tutto quello che concerne la nicchia in cui lavora, perchè è solo attraverso una piena padronanza del mercato di riferimento che la SEO può essere svolta al 100%.
Private Blog Network (PBN): tutto quello che devi sapere!
Oggi vorrei addentrare la discussione in un lato oscuro della SEO, ovvero quello che tratta di PBN, acronimo di Private Blog Network, e quindi ho deciso di sviscerare l’argomento per chi non fosse addentrato in materia e volesse in qualche modo approfondire questa tematica, che devo dire viene sempre maggiormente utilizzata, e lo noto sempre più spesso quando vado a fare analisi dei competitor di alcuni clienti che hanno una moltitudine di link in ingresso da siti differenti, in particolar modo in nicchie di mercato dove non ci sia molto da dire.
Che cos’è un PBN (private blog network)?
Un private blog network come si può intuire dalla traduzione è una rete di blog privata che fa riferimento allo stesso proprietario, o gruppo di proprietari. Questi siti hanno lo scopo di ospitare esclusivamente articoli legati ai siti del proprietario del PBN o dei suoi clienti.
In realtà non è necessariamente detto che il network privato debba linkare direttamente nostri siti, possiamo anche trovare siti della nicchia su cui stiamo lavorando e offrire loro uno scambio link senza che ci sia traccia di nulla, ovvero supponiamo che io debba spingere il sito “pippo”, contatto il proprietario del sito “pluto” e gli dico se è interessato ad avere un link dal sito “paperino” (facente parte della PBN) a fronte di un link che lui lascerà verso il sito “pippo”. In questo modo non vi è alcun tipo di legame tra la PBN, i siti linkati da essa ed il sito da spingere in SERP.
Avere una rete di blog privati quindi permette a chi la gestisce di ottenere link di tipo “one-way” e magari anche “follow” che arrivano da siti diversi tra loro, il tutto seguendo delle prassi in grado di eludere l’occhio attento del motore di ricerca che non apprezza in maniera più assoluta una manipolazione di questo genere e lavora costantemente con quality rater in carne ed ossa che dedicano il loro tempo per scovare e penalizzare questa tipologia di siti.
Come creare un private blog network?
Realizzare un private blog network in maniera minuziosa richiede in primis tempo e denaro, per quanto detto precedentemente non si deve in alcun modo cadere sotto la lente di big G e quindi ci sono una serie di caratteristiche basilari, anzi dei veri e propri “must”, per realizzare un PBN fatto ad hoc e sono:
Dati intestatario del dominio. E’ evidente la prima cosa da non fare è registrare tutti i domini sotto lo stesso intestatario o comunque se è sempre la stessa persona il proprietario è bene che verifichi che il register che sta utilizzando metta a disposizione il WHOIS privato, ovvero nel momento in cui interroghiamo il register per conoscere i dati dell’intestatario questo li renderà privati.
Ip differenti. Una volta registrati tutti i nostri domini, se sono stati presi sullo stesso hosting è bene assegnargli degli IP dedicati, meglio ancora sarebbe sfruttare hosting diversi sparsi in angoli diversi del mondo per passare ulteriormente inosservati e non far associare alcun collegamento.
Codici di Google. Se si intende monitorare il traffico con Google Analytics, cosa che non reputo utile per un blog facente parte di un PBN (o magari mi sbaglio), o si intende monetizzare attraverso Adsense o se vogliamo usare al Search Console, o qualsiasi altro strumento di Google è bene non associare in alcun modo tutti i siti sotto gli stessi account, sarebbe un evidente segnale che fanno capo allo stesso proprietario.
Pagine chi siamo, privacy, policy cookie. Queste pagine sono molto importanti e richiedono che tutto sia associato ad un azienda/persona quale titolare del trattamento dei dati, ecc, ecc. In questo caso bisognerà in qualche modo creare personaggi inventanti al fine di eludere associazioni con lo stesso proprietario.
Creare dei siti clone in termini di struttura. Installare WordPress e lasciare il suo tema di base è una procedura molto rapida, eppure differenziare il tema tra i vari siti del network e perchè no anche il CMS è un ulteriore caratteristica in grado di destare meno sospetti.
A mio avviso dividerei le PBN in generaliste e specifiche, ovviamente la cosa migliore è la versione ibrida tra le due. Che cosa intendo dire? Un PBN generalista è costituita da siti in stile “article marketing” dove andremo a mettere articoli che parlano di qualsiasi tematica, dalle ricette, allo sport, al gambling e molto altro, mentre in un PBN specifico parleremo di micro-argomenti che riguardano una sola tematica (macro area), rendendo così tutto molto più appetibile per Google che apprezzarà sicuramente molto di più il secondo modello rispetto al primo.
Un esempio nel secondo caso potrebbe essere una PBN per il settore del gambling basata su siti specifici per le varie micro-aree (poker, black jack, roulette, bingo, scommesse, ecc).
A mio avviso una soluzione valida è quella ibrida basata su entrambe queste tipologie di siti.
Come puoi immaginare realizzare un private blog network necessita di molto tempo, che è denaro, e di un investimento di qualche migliaio di euro per la registrazione dei domini, acquisto dell’hosting e successivo mantenimento della struttura. Anche in questo caso non è detto che si debba necessariamente acquistare un hosting e dei domini si potrebbe costruire tutto su domini di terzo livello su siti come WordPress, Blogspot, Altervista e chi più ne ha ne metta.
La mia conclusione sui private blog network
La mia personale idea che mi sono fatto riguardo questo strumento è che per il momento funzionano, lo vedo ogni giorno in siti dei competitor di miei clienti, ma per quanto abbiamo detto bisogna utilizzarli con precisione chirurgica altrimenti è facile far saltare l’intero sisitema.
Personalmente non reputo sia una soluzione interessante da adottare per fare SEO, quanto meno non la uso sui miei siti e quelli di miei clienti, in quanto da un momento all’altro Google potrebbe sviluppare un sistema anti-PBN che vada oltre le indagini dei quality rater e lanciare penalizzazioni massive, in questo caso il quadro della situazione sarebbe veramente disastroso, in quanto si avrebbe un sito principale verso cui abbiamo fatto tutto il lavoro penalizzato per link innaturali e tutto l’investimento (tempo e denaro) per lo sviluppo del network saltato per aria.
Anche la componente coscienza sporca non è da meno, andare a dormire sapere di aver fatto un lavoro etico e pulito mi permetterà di fare sonni tranquilli, al contrario sapere che il lavoro svolto è costantemente a rischio non mi farebbe dormire sereno, in particolare se in ballo ci sono siti di clienti.
A mio avviso pensando proprio ai costi e alla gestione del tutto tantovale cercare blog/siti/forum della nicchia in cui stiamo lavorando e proporre loro un contenuto super originale e ben sviluppato e magari offrire loro un contributo per la pubblicazione.
Landing page EMD senza link dai posizionamenti inaspettati
Iniziamo col dire una cosa, non abituarti a questa tipologia di articoli, non mi è mai piaciuto condividere con la massa mie esperienze personali riguardo il mio lavoro SEO, tutto sommato voglio in qualche modo uscire dai miei classici schemi e visto che la SEO ormai è un mondo dove i nuovi arrivati vogliono insegnare in ogni dove credo sia doveroso, a fronte di 10 anni di lavoro come ottimizzatore di siti e non solo, dover mettere in riga i “newbie della SEO” senza però regalare preziose informazioni che probabilmente qualcuno ti rivenderà nel prossimo corso SEO o le inserirà nel suo ebook in free download o in vendita per soli 7€.
Un ulteriore premessa che mi sento di fare è che in questi ultimi anni ho seguito poco i miei siti, veramente troppo poco, li ho visti perdere posizionamenti su diverse chiavi interessanti dove ho sempre dominato le SERP, ma devo dire che oltre alle mie mancanze ci sono alcuni neo consulenti SEO molto bravi che hanno saputo muoversi egregiamente, e forse come come è giusto che sia prima o poi ci troveremo davanti ad un cambio generazionale che effettivamente è qualcosa di fisiologico. Queste mie lacune non sono dovute a svogliatezza ma per fortuna lavoro con costanza su miei progetti e per clienti nuovi e vecchi.
Ora che mi sono fasciato la testa prima di rompermela e dopo aver dato sfogo alla mia arroganza possiamo addentrarci nel cuore dell’articolo 😀
Premesse riguardo lo strano caso della landing page EMD
Tempo fa, per l’esattezza nel 2014, ho registrato il dominio www.consulenteseoroma.com con l’intezione di testare se l’EMD (exact match domain) non avesse più un grande peso, come si diceva a suo tempo e se facesse effettivamente far scattare evenntuali penalizzazioni, di cui personalmente non ne ho ancora mai vista mezza. Preso dunque dalla curiosità decisi di fare un progetto molto minimale in quanto non avevo assolutamente la voglia ed il tempo per realizzare un sito corposo ed anche perchè in quel caso generando contenuti di valore e semanticamente correlati all’EMD non ci sarebbe stato alcun rischio e quindi il test sarebbe stato comunque fallato.
Optai quindi per quello che ancora tutt’ora è online, ovvero una semplice landing page, una sola pagina e nulla più.
Scelsi quindi un template da ElegantThemes che si prestava al caso e buttai giù un pò di copy ben ottimizzato, misi qualche link in uscita verso Marketing SEO Agency (ad ora tutto è rimasto invariato) installai Google Analytics e Search Console (ai tempi Google Webmaster Tool) e senza neanche dover inviare alcuna sitemap xml, feci fare una scansione del “sito” a Google usando la funzione “visualizza come Google”.
Gli sviluppi del sito Consulente SEO Roma
Dopo aver lanciato il “sito” ho semplicemente atteso che il buon Google metabolizzasse il contenuto.
A distanza di qualche settimana, andando a guardare le SERP e gli strumenti di monitoraggio di big G noto con piacere che il “sito” era in prima posizione per la chiave secca dell’EMD e si era posizionato anche per una serie di chiavi strettamente correlate.
Non rimasi sorpreso nel trovare il posizionamento anche per “consulenza SEO Roma”, in quanto si tratta della chiave prossima strettamente correlata all’EMD, quasi un sinonimo se vogliamo e su cui ho mirato nella stesura del testo, al contrario mi stupirono piacevolmente i posizionamenti per le parole chiave come “Esperto SEO” ed “Esperto SEO Roma”, dove non mi aspettavo alcun posizionamento in quanto non avevo neanche lontanamente mirato ad esse (quello che vedi qui di lato è un micro estratto da GA in parte censurato non vorrai mica sapere tutti i cavoli miei :D).
Il sito per la chiave secca “Esperto SEO” è rimasto per un diverso tempo in top 10, mentre per la chiave geolocalizzata su Roma è Top 3 ormai da parecchio, attualmente mentre sto scrivendo questo articolo risulta essere quinto che probabilmente è il peggior posizionamento ottenuto dalla landing page su questa keywords da quanto è stato messo online.
Parliamo di key con dei volumi di ricerca mensile che sono dell’ordine di poche centinaia, se non decine. Tutto sommato sono keywords ad alto potenziale, infatti chi le sta cercando sono potenziali clienti e anche fossero semplicemente 30 al mese, significherebbe un potenziale contatto ogni giorno. Se moltiplichiamo questa cifra per una consulenza oraria che vendo tramite questa landing, parliamo di cifre molto interessanti, senza considerare che la consulenza è solo il primo passo verso la gestione completa del progetto oggetto di quest’ultima. Ma torniamo al “caso studio”.
E con i link come la mettiamo?
Semplicemente non ho fatto alcun tipo di link building, come non ho voluto investire tempo per creare un sito vero e proprio, non ho voluto neanche cercare link. Misi giusto un link sul buon Marketing SEO Agency e per il resto questo è quello che restituisce la sezione “Link che rimandano al tuo sito” in search console.
Senza quindi ossessionarmi alla caccia di link ho comunque ottenuto degli ottimi posizionamenti, semplicemente con onestà ed etica. Probabilmente dopo questo articolo potrei cadere in qualche occhio del ciclone di negative SEO da parte dei sedicenti SEO citati all’inizio dell’articolo, magari lo stesso Google si arrabbierà o mi premierà, o semplicemente tutto rimarrà così com’è (chi vivrà vedrà).
Ma ancora non sono arrivato al vero cuore della questione di questo case history, se così possiamo definirlo.
Il posizionamento per le due chiavi “Esperto SEO” ed “Esperto SEO Roma” da dove arriva?
Presto detto.
Semplicemente la chiave “Esperto SEO”, senza neanche aggiungere la key Roma che è gia presente nel dominio, è stata scritta e grassettata all’interno del primo paragrafo di testo della landing page e all’interno di un elenco puntato che si trova verso la fine della pagina.
Stop. Solo 2 ricorrenze.
In tal senso quelle sono l’unico input che Google ha ricevuto a riguardo, non ci sono link con anchor text di quel tipo, tantomeno altre pagine specifiche per quella chiave, tutto lì. Questo mi fa pensare solo che Google abbia dato un peso forte (o strong per richiamare il tag del grassetto), a quella parola e che visto che era strettamente correllata alla semantica del contesto del “sito” il risultato ottenuto non poteva che essere che quello.
Ovviamente potrei tranquillamente sbagliarmi in merito si tratta esclusivamente di mie ipotesi, in quanto la certezza sui motori di ricerca è per chi di SEO ne capisce quanto il mio cane.
Lo storico dei dati tratto da SEOZoom (da quando il tool ne ha memoria)
Allego qui a seguire alcuni grafici dell’andamento del posizionamento di tre keywords, a testimonianza di come il “sito” è sempre stato in prima pagina e dove ancora “bazzica” piacevolmente 😀
Andamento del posizonamento della parola chiave “Esperto SEO Roma” per www.consulenteseoroma.comAndamento del posizonamento della parola chiave “Consulente SEO Roma” per www.consulenteseoroma.comAndamento del posizonamento della parola chiave “Consulenza SEO Roma” per www.consulenteseoroma.com
Conclusioni sullo strano caso del posizionamento “Esperto SEO Roma”
Al sito è stato fatto da pochissimo un restyle (si c’è un errore sul logo, lo correggerò :D) in quanto ancora non era responsive fino a poche settimane fà ed il tema che ho scelto oltre ad essere responsive aggiunge una serie di microdata molto utili nel codice che ancora è da rivedere a puntino.
Riguardo al caso del posizionamento per la chiave “Esperto SEO” ed “Esperto SEO Roma”, aldilà delle mille mila considerazioni tecniche che si possano fare, dove ognuno può affondare la sua ipotesi, quello che mi sono portato a casa è che:
Tutte le menate sull’EMD lasciano il tempo che trovano
Ci sono casi in cui i link non sono un must
Un buon testo ottimizzato a livello SEO e persuasivo nei confronti dell’utenza è sempre un ottimo mezzo per fare SEO, è da un pò che non lo leggo lasciatemelo dire “content is king”
Se pensi che abbia scritto cavolate o semplicemente vuoi farmi sapere la tua opinione a riguardo, fammelo sapere nei commenti 😉
Nevine Acotanza
Chief Operating Officer
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